Chi mi ridarà il sapore delle prime sigarette, quelle che ancora non sapevano di schiavitù?
Chi mi ridarà polmoni puliti, che contengano abbastanza fiato da permettermi di salire tranquillamente le scale?
Chi mi ridarà l’imbarazzo della prima lingua in bocca, e l’attimo di sospensione del primo contatto tra corpi nudi?
Chi mi ridarà i miei fratelli piccoli, e sorridenti, e il mio sorriso nei filmati dell’infanzia?
Chi mi ridarà la magia del primo walkman, della musica che dalle cuffiette entrava nelle mie orecchie dovunque io fossi?
Chi mi ridarà l’euforia da piccola chitarrista autodidatta?
Chi mi ridarà uno sguardo limpido, per guardarmi intorno senza il filtro di tutte le porcherie che ho visto?
Chi mi ridarà la capacità di abbandonarmi, di fidarmi, di lasciarmi andare al calore di un abbraccio?
Chi mi ridarà la voglia di rischiare, di agire non per noia e senza senso ma per determinazione?
Chi mi ridarà il discernimento per capire che le persone mentono, ma non tutte e non sempre?
Chi mi ridarà il tempo che ho buttato a inseguire fantasmi di farfalle?
Chi mi ridarà i sì che stupidamente ho sprecato?
Chi mi ridarà un cuore che sia il contrario di arido?
Chi mi ridarà la mia adolescenza, rovinata dalla mia ostinazione ad autocommiserarmi e a non vedere le mie qualità esteriori e interiori?
Chi mi ridarà tutti i treni e gli autobus che ho perso?
Chi mi ridarà le mille e mille occasioni che non ho colto, spesso solo per pigrizia?
Chi mi ridarà parole per esprimere ciò che sento come sapevo fare prima?
Chi mi ridarà i libri che ho prestato e non ho più rivisto, e quelli che ho dimenticato, e quelli che ho chiuso prima dell’ultima pagina?
Chi mi ridarà le mani dei miei genitori che mi insegnano a camminare, e la certezza della loro infallibilità, adesso che anche un semplice dialogo sembra impossibile?
Chi mi ridarà la colonna vertebrale dritta che avrei potuto avere se a dodici anni avessi obbedito ai medici?
Chi mi ridarà le estati passate a piangere perché costretta dentro un busto infernale?
Chi mi ridarà la gita di quinta superiore a Parigi?
Chi mi ridarà le attese, che non ho saputo riempire, fuori dalle poste, dalle stazioni, dagli uffici dei professori?
Chi mi ridarà i momenti belli insieme agli altri in cui io, un po’ come S. Tommaso nel Cenacolo, non c’ero – e chissà dov’ero?
Chi mi ridarà la dignità, che ho tenuto in così poco conto per lo stupido gusto di fare scenate ai limiti del patetico?
Chi mi ridarà la mia fede da bambina, che sapeva trovare una risposta a qualunque fatto mi accadesse?
Chi mi ridarà i giochi nella neve che ho rifiutato quando la neve la odiavo?
Chi mi ridarà i rapporti che avrebbero potuto crescere e che invece ho permesso scivolassero via?
Chi mi ridarà i soldi che ho speso, pur avendone pochi, (e ho fatto spendere ai miei, che a volte ne hanno meno di me) per cose inutili?
Chi mi ridarà la speranza nel futuro, la sensazione ingenua di essere invincibile o di poter diventare tale?
Chi mi ridarà ogni bivio in cui ho scelto male?
Chi mi ridarà le lezioni da cui avrei potuto imparare tanto ma non ho avuto voglia di farlo?
Chi mi ridarà le responsabilità di cui non mi sono caricata?
Chi mi ridarà la prima vacanza in montagna con la parrocchia?
Chi mi ridarà i piatti che non ho assaggiato e magari avrei adorato?
Chi mi ridarà gli sproloqui superflui che avrei fatto bene a tenere per me?
Chi mi ridarà le conoscenze mancate a causa della mia paura e della mia altezzosità?
Chi mi ridarà le unghie che non riesco a smettere di strapparmi?
Chi mi ridarà il panorama dal quinto piano di un edificio dei Parioli?
Chi mi ridarà le canzoni cantate insieme con la chitarra in pullman mentre io mi incasinavo la testa guardando fuori dal finestrino?
Chi mi ridarà la benzina che ho usato per passare davanti a posti in cui speravo di scorgere persone che mi hanno fatto del male?
Chi mi ridarà una mente sgombra da calcoli opportunistici e giudizi cattivi e rancore?
Chi mi ridarà la catarsi della prima volta in cui ho capito come si fa a essere felici almeno temporaneamente?
Chi mi ridarà la sorpresa di scoprire una cosa nuova, che una volta scoperta poi nuova non la è più?
Chi mi ridarà l’eccitazione della prima volta che ho giocato alla PlayStation 1, o con il computer, nell’era in cui Internet si pagava a minuti e mi era concesso solo di trastullarmi con Paint o con l’enciclopedia Encarta per un massimo di mezz’ora al giorno?
Chi mi ridarà la possibilità di fare cose grandi fin da subito, a partire dal cominciare l’università prendendola seriamente?
Chi mi ridarà la saggezza di trattare il mio corpo con rispetto e in maniera leale?
Chi mi ridarà la voce bianca?
Chi mi ridarà i battiti che il mio cuore ha saltato durante le numerose dichiarazioni d’amore che ho fatto?
Chi mi ridarà i miei vent’anni, quando non ci saranno più?